La seconda parte del volume FRAMMENTI AMALGAMATI è composta da 12 liriche. Per l'occasione assieme al poeta abbiamo deciso di sceglierne cinque
A te, mia erede
Ho meditato sulle falde e gli scampoli
ancora armoniche e leggiadri, dell’infinito,quando tu, figlia mia, fosti rincuorata
in quel ventre, gaio e artefice, di madre.
Ho immaginato, mia erede,
laddove tu germogliasti,
come i chicchi e i grani dell’umanità,
potessero, ancora, porgere delle bacche succulente ( ).
La quiete verdemare,
la felicità dalla tinta del firmamento,
ho contemplato, e, questo,
bramerei tu cingessi (2).
Il pomo granato, le fauci
e i becchi acerbi, ingentiliva.
Il drappello delle tortore cenerine
cicalava sull’altura
e un eco tonante, fratello di un sussulto terreno,
ardì, nel far vacillare il mappamondo di Dio,
infondendogli così tanta vitalità e amore
da non riuscire a racchiuderli.
Questo, quando tu germogliasti (3).
(opera Maternità , 20x26 matita di Maria Concetta Lazzaro di Adrano)
Le nostre ombre cinesi
Al rannuvolarsi di questo dì
l’eclisse, rosseggia, tuttora, come un granato.
In quel nostro eremo,
il barlume nerognolo di un lume a olio
incarna lo scenario,
balestrando le nostre nebulose ombre
sul separé sfrangiato e mal incalcinato ( ).
E le nostre carni,
come fossero ombre cinesi,
intarsiano, all’esordio, un bocciolo
e, aldilà della nostra veemenza,
una corolla dischiusa
e ancor briosa di rugiada,
laddove le nostre braccia,
adombrano i suoi petali
e le nostre labbra,
accostate e socchiuse,
occultano gli stigmi dei suoi pistilli (2).
opera "Amplesso", 37x28 - grafica di Maria Concetta Lazzaro di Adrano
Il mio ego, il tuo ergo
sul galeone dell’inebriante miraggio
per obliare il vetusto avvenuto
i raccapricci e gli stendardi della disfatta.
gli spasimi e i piagnistei delle sciagure.
E con te, odo il diletto di un litorale fragrante,
m’inoltro, alle beatitudini di una giovinetta terraferma ( ).
Slegati, il mio ego dal tuo,
disgiunti, il tuo vivere dal mio,
non deve essere rimuginato, giammai.
Quali meste afflitte stigmate, sarebbero,
slegati, il tuo ergo dal mio,
disgiunti, il mio vivere dal tuo,
questo, non deve avere sangue, giammai (2).
opera eseguita da Ionella Ferro, china dim. 30x40, creata appositamente per la poesia
Mia Signora Solitudine
Al culmine di un’alpe,
laddove alberga una borgata innevata,
in un casolare
di una sua contrada marginale,
diserterei, con te,
da questo pantanoso intrigo
anche per una nottata derelitta,
per inchiodare le mie iridi alle tue,
da felina guardinga ( ).
Fiorirei a ciò,
pur immolandomi al rogo della tua chioma,
soltanto per tripudiare,
con la concordia inframmezzata alla libidine,
un solitario palpito
e per non fiutare,
al mio risveglio,
la verve amarognola dell’onirico (2).
opera eseguita da Ionella Ferro, china dim. 30x40, creata appositamente per la poesia
Il volo del fuco
Essere posseditrice di neri occhi che
imbarazzati, scavano nei verdi miei,
come quelli arrossati del fuco con la regina ape
sulle ali del volo nuziale,
dona ritmi vulcanici ai tuoi seni,
tanto impetuosi come guerrieri in lotta?
O, forse, tale veggenza è la titanica utopia del fuco
quale io credo di essere ( )?
Eppure, se fosse fluida utopia
quel dolce scorrere nelle mie calde viscere,
quasi fosse veleno di cobra
nel corpo scosso di una preda candidata a morte,
il mio animo egualmente sazierebbe
la sua agognata sete e la sua dura fame.
Come fosse un nudo giovane cerbiatto
dalle zampe ancora tremanti e impaurite,
allattato dai capezzoli umidicci di nettare materno,
dolce fino a sapere amaro (2).
sopera - studio del prof. Carmelo Cozzo.
segue la III PARTE
Vi aspetto e Vi ricordo che per tutti ci sarà in omaggio il libro FRAMMENTI AMALGAMATI